Dalla finestra di una stanzetta vicino ai binari della ferrovia e proprio sul Corso Umberto I, si vede il mare di Brancaleone. Qui Cesare Pavese, grande scrittore del 900, scontò il suo esilio dal 4 agosto 1935 al 15 marzo del 1936.
L’autore di “La bella estate” e “La luna e i falò”, solo per citarne alcuni, fu accusato dal regime fascista di essere un sovversivo, come tanti altri intellettuali italiani del tempo. Fu arrestato incarcerato dapprima a Torino, poi al Regina Coeli di Roma ed infine condannato al confino in Calabria.
All’epoca Brancaleone era considerato uno degli ultimi centri abitati d’Italia, un posto sperduto con pochissimi abitanti.
Era un signore distinto e per gli abitanti del paese divenne presto “u professore” per la sua passione per i libri. A chi glielo chiedeva, impartiva lezioni private di latino e letteratura italiana.
La sua stanza, situata al piano terra conserva ancora oggi gli arredi originali, un letto, una scrivania, una lampada ed un lavabo, il pavimento in cementina, tutto semplice, spartano.
Tanti sono i visitatori che ogni anno vengono a rendere omaggio allo scrittore, che si sentì sempre ben accolto in questo paese. Della nostra gente disse che la discendenza dai greci era evidente nel tatto e nella cortesia di ognuno.
In Corso Umberto I, strada centrale di Brancaleone, c’è ancora oggi il Bar Roma dove Pavese andava spesso a prendere il caffè e sui cui tavolini scrisse molto, in particolare le prime pagine di “Il mestiere di vivere”, il diario delle sue riflessioni dal 1935 al 1950.
Amò tanto la bellezza del luogo, che rimpianse di non esserci tornato da uomo libero.